Alla regione col peggior sistema sanitario in Italia sono bastate poche centinaia di casi per ritrovarsi in zona rossa: abbiamo provato a capire come mai
IL POST.IT
Articolo di Luca Misculin
15/11/2020
Un vecchio proverbio latino dice che se un orologio ad acqua rimane vuoto non è mai colpa dell’ultima goccia. Con parole diverse, è lo stesso concetto che esprimono i medici e gli esperti di sanità in Calabria quando cercano di spiegare perché una regione con un numero bassissimo di morti e contagiati sia finita fra le zone rosse stabilite dal governo per limitare la diffusione della pandemia da coronavirus.
«Se l’emergenza è difficile da gestire per tutti, figuriamoci per un posto che era già in una condizione di emergenza», sintetizza un medico che lavora nel più grande ospedale della regione, il GOM di Reggio Calabria. Nelle condizioni in cui si trova il sistema sanitario regionale sono bastate poche decine di ricoverati per COVID-19 – di cui appena 26 in terapia intensiva, secondo i dati di sabato 14 novembre – per provocare un collasso del sistema ampiamente prevedibile, per chi conosce la realtà locale.
La Calabria è di gran lunga la regione italiana col peggiore sistema sanitario. È un posto dove gli anni di vita in buona salute sono in media 52,9 contro i 67,7 del Trentino-Alto Adige, l’assessorato regionale alla Salute è sotto commissariamento da prima che gli americani eleggessero Barack Obama, soggetto da anni a durissimi tagli di posti letto (diminuiti del 40 per cento fra 2000 e 2013) e personale sanitario (meno 17,1 per cento fra medici, infermieri e operatori sanitari dal 2010 al 2017). E dove l’azienda sanitaria che serve il bacino più ampio, quella di Reggio Calabria, nel 2019 è stata sciolta per infiltrazioni della criminalità organizzata e definita dagli addetti ai lavori la più indebitata d’Europa.
In Calabria mancano medici, infermieri e operatori sanitari, e quelli che ci sono fanno i salti mortali (secondo i dati più recenti vanno in ferie o in malattia in linea alla media nazionale) ma mancano anche ambulanze, consultori, studi medici. I calabresi lo sanno: nel 2016 uno su cinque si è spostato in un’altra regione per farsi ricoverare in ospedale. Ma la pandemia da coronavirus ha riportato la questione sulle prime pagine dei giornali e nei servizi dei tg: sia per la questione della “zona rossa” sia per alcune dichiarazioni dei commissari nominati dal governo nazionale. Soprattutto quelle di Saverio Cotticelli, che davanti alle telecamere del programma televisivo Titolo V è sembrato ignaro di dover elaborare un piano per potenziare i reparti COVID della regione.